Versi e musica di Mauro Geraci e Simonetta Ceglie
Con questa ballata vogliamo far riflettere sulla distanza abissale che notiamo tra il neonato movimento delle sardine e la difficile vita quotidiana delle persone che esso punterebbe a rappresentare. Vita sempre più lacerata dall’immobilismo economico, dall’iperburocrazia e dalla fiscalità stritolante, dal controllo virtuale e dallo strapotere delle banche, dalla povertà dilagante, dalla disinformazione e dal controllo dei media, dalla precarietà sul lavoro, dalla mancanza di sicurezza, dal progressivo sgretolamento dei diritti. Per questi problemi non ci sono specifiche rivendicazioni; invece i branchi di sardine vanno in piazza genericamente “contro l’odio” e “per l’accoglienza”, senza bandiere e solo demonizzando l’avversario, pronti a essere pescati, inscatolati e consumati alla prima occasione elettorale dalle conniventi logiche del pensiero unico e delle sue ben radicate corporazioni politiche.
Testo
Io son Giuseppe e io son Maria
il centro anziani del nostro quartiere
ce l’han già chiuso e in periferia
non c’è né un Cristo né un carabiniere.
Cala la sera, la polizia
qui non ci passa nemmeno a vedere
e in casa chiusi, senza compagni
tutti abbiam spenti gli scaldabagni.
E come un lupo lì sulla porta
la fame morde la nostra pensione
che se ne va con una sporta,
tra le bollette e la televisione.
Fuori la mala, dentro Fiorello,
con Cartabianca, Che tempo che fa
ci hanno svuotato del tutto il cervello
con Chi l’ha visto e con Agorà.
Lontane le sardine,
su dal fondo del mare,
a frotte, a serpentine
seguendo le lampare,
la croce, la cometa,
il sol dell’avvenir,
qual è la loro meta
lo sa solo il destin…
All’ex Ilva, Arcelor Mittal
invece Mario sa che resterà
come quei cani che sull’autostrada
vengon gettati prima dell’està,
mentre prosegue la grande goleada
tra Stato e impresa chi mai vincerà,
se agli altiforni fermano i motori
la vita spengono ai lavoratori,
a ventimila polmoni d’acciaio,
ed a migliaia di mogli e di figli
che tra le polveri dentro al mortaio
rendono l’anima ai cieli vermigli.
E se oggi a Taranto ogni operaio
piange e non vede nè luci e lampare,
il suono magico di un pifferaio
forte in un coro si ode dal mare.
Avanti siam sardine
del mar le pecorelle,
corriamo piccoline,
siam grigie monachelle,
noi non portiam bandiere,
chissà chi ci conduce
noi non abbiam volere,
la luce è il nostro duce.
Giovanni onesto di Tor Bella Monaca
fa il muratore, si fa un culo tanto
della sua storia non parla la cronaca
ed è per questo che io ve la canto.
La moglie e il figlio disabile a letto
li manteneva col suo furgoncino
fin quando un giorno che sia maledetto
glielo rubaron sotto il portoncino.
Il gps stavolta gli mette
se lo ricompra col sangue e l’affanno
ancor lo rubano e messi alle strette
i poliziotti dai rom non ci vanno.
Giovanni è solo, la fame l’affoga,
di far giustizia da sol non gli va,
odia i nazisti, il fascio e la droga
beve e si lascia morire in quel bar.
Intanto le sardine
vanno educate in piazza
a coro, a far moine
al Conte che ringrazia.
Il pescator di anime
cala le reti lì,
tira e l’Italia esanime
muore con la dc.
In branco le sardine
tutte stipate in piazza
fan cori, fan moine
e il Conte le ringrazia.
Sott’olio, zitti e pronti,
di latta i battaglioni
e con a capo il Conte
van verso le elezioni.
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