IGNAZIO DE BLASI: IL CANTASTORIE DEL BELÌCE CHE RENDEVA ETERNA LA STORIA
il ricordo di Mauro Geraci
Ora che ho saputo che lo scorso 3 luglio 2023 se n’è volato via, ancora più in alto, Ignazio me lo ricordo nel 2015, quando per venire a Siracusa a ritirare il Trofeo Turiddu Bella, da Caltavuturo in provincia di Trapani, tra treno e pullman ci mise circa 15 ore, per fare circa trecento chilometri! Arrivò tutto sudato, stanchissimo, assetato, incredulo e la prima cosa che, in coro, commentammo fu: “Malidittu, malidittu, stramalidittu cu voli fari u ponti supra u Strittu!”. Ricordo che s’andò a rinfrescare in una fontanella che era lì vicino. Poi ci siamo seduti nella saletta e gli parlai con calma, per farlo riposare un poco, prima di cantare e ritirare il Trofeo: mi raccontò delle ultime cose che aveva scritto, che aveva dipinto; mi parlò della concezione che lui aveva del cantastorie come custode della memoria popolare che ha il compito di resistere all’oblio, alla superficialità dei tempi moderni che riducono tutto a strisciatine di smartphone. Lui invece cantava cose antiche o cose moderne per farle diventare antiche, per renderle eterne, per cercare di renderle indelebili come la storia di Cudduredda, estratta viva dalle macerie di Villa Sofia, a Palermo, durante il terremoto del Belìce; oppure la storia di Rita Atria, vittima giovanissima di uno strapotere politico-mafioso che esce sempre assolto, indenne, inscalfito dai “processi” di tanto in tanto inscenati, proprio per alzare il sipario e far vedere, che almeno tra le quinte e prima della Cassazione, la giustizia esista. In quell’occasione, al Trofeo Bella, col suo cartellone, Ignazio cantò una storia dal titolo In quali manazzi è finita l’Italia. Ignazio De Blasi, Cantastorie del Belìce, come amava definirsi, aveva questo di particolare, quello di riuscire a rendere indimenticabili le sofferenze e le lotte di oggi, come a voler mettere capo a un’epica contemporanea in grado di sviluppare quella medievale dei Reali di Francia che, comunque, lui continuava a rievocare nei suoi bellissimi cartelloni, nei suoi quadri e oggetti d’arte. Anche il suo modo calmo, inesorabile, inscalfibile, monotono di cantare riusciva a rendere eterne le storie inscritte nei versi, dipinte nei cartelloni; un modo di cantare sopra ogni tempo, più alto d’ogni moda, sempre eterno e che coglieva delicatamente dalla vita terrena degli uomini ogni dramma per proiettarlo in una metastoria dove, tra gli altri, diventava fonte inesauribile di sdegno e di virtù. Per questo non dimenticare il Cantastorie del Belìce è per tutti noi un modo per non farci dimenticare e non dimenticare noi stessi. Grazie, grazie per sempre, carissimo Ignazio, Cantastorie del Belìce e del Mondo!
Mauro Geraci
Ignazio De Blasi ritira il Trofeo Turiddu Bella, Siracusa 15 giugno 2015